In occasione del nono Mercoledì della Fidapa abbiamo ospitato su piattaforma ZOOM lo scrittore genovese Riccardo Gazzaniga che ha recentemente pubblicato con Rizzoli “Come fiori che rompono l’asfalto”: venti storie poco note di uomini e donne che hanno combattuto con coraggio compiendo gesti dal profondo impatto politico e sociale che hanno in qualche modo lasciato il segno.

La Presidente Elena Bormida, che è moderatrice dell’incontro, dopo avere salutato tutti coloro che si sono collegati e avere illustrato, per chi non facesse parte della nostra associazione, la struttura e la mission di Fidapa, presenta l’ospite della serata Riccardo Gazzaniga.
Riccardo Gazzaniga ha frequentato insieme con lei il Liceo Classico Mazzini di Genova e dopo il diploma, nel 1996, si è arruolato nella Polizia di Stato dove ora ricopre la qualifica di Viceispettore.
Amante della lettura e dello scrivere, appassionato delle opere di Stephen King, nel 2006 pubblica 13 racconti dark, quindi nel 2013, per l’Editore Einaudi, il romanzo A viso coperto che racconta in forma di romanzo l’odio e gli scontri fra ultras e poliziotti del Reparto Mobile di Genova con cui ha vinto il Premio Italo Calvino e i premi Massarosa e Il Molinello.
Nel 2016 pubblica, sempre con Einaudi, il secondo romanzo Non devi dirlo a nessuno un thriller, nel 2018 con Rizzoli Abbiamo toccato le stelle, raccolta di biografie di sportivi che in qualche modo hanno cambiato il mondo con cui vince il premio Bruno Roghi e il Memo Geremia, come miglior opera sportiva per i ragazzi.
Nel 2019 esce il suo terzo romanzo Colpo su colpo edito da Rizzoli. La storia, ambientata a Genova post crollo del ponte Morandi, ha come protagonista una ragazza che pratica la savate e deve confrontarsi con i dissidi familiari e il violento bullismo scolastico dovuti alla sua omosessualità.
Nel 2020 pubblica Come fiori che rompono l’asfalto-Venti storie di coraggio dedicati a uomini e donne che nel mondo si sono opposti a regimi dittatoriali, discriminazioni, ingiustizie, pagando spesso con il prezzo della vita.
Da questa opera sono state scelte per essere illustrate cinque storie di donne.

Mary Harris Jones

Mary Harris Jones nasce a Cork, in Irlanda il 1º maggio del 1837, da una famiglia molto povera.
Trasferitasi in America a causa di una pandemia di febbre gialla perse il marito e i 4 figli. A fronte di questa perdita sente il dovere di avvicinarsi agli altri e rendersi utile, specialmente ai più umili.
Si interessa alle categorie più disagiate del mondo del lavoro impegnandosi nel movimento sindacale operaio, divenendo in poco tempo un punto di riferimento nella difesa dei lavoratori e specialmente dei bambini costretti dalla povertà delle famiglie a lavorare precocemente.
Di queste gravi problematiche i giornali non parlano: Mary Jones capisce l’importanza della forza mediatica e che quindi occorre attirare l’attenzione pubblica andando in piazza.
Chiamata per il suo impegno Mother Jones, nel 1903 organizza una marcia di bambini operai delle fabbriche e delle miniere di Kensington in Pennsylvania.
Lei stessa descrive così il lavoro dei bambini in una filatura di cotone:
«Bambine e bambini, a piedi nudi, andavano e venivano tra interminabili fila di fusi, avvicinando alle macchine le manine scarne per riannodare i fili spezzati.Si rannicchiavano sotto le macchine per oliarle. Giorno e notte, notte e giorno, cambiavano i fusi. Bambini di sei anni dal volto di vecchi di sessanta, lavoravano otto ore al giorno per dieci centesimi. Quando si addormentavano, venivano risvegliati lanciandogli in faccia acqua fredda e la voce del direttore tuonava sopra il fracasso continuo delle macchine».
Divenuta famosa, sposò la causa dei lavoratori delle miniere le cui condizioni erano fra le più disagiate: cominciarono scioperi violenti e questa donna andò lei stessa nelle miniere per far sentire la sua vicinanza. Arrivò a piazzarsi davanti alla casa dell’imprenditore minerario John Davison Rockefeller che subito non la riceve ma successivamente, per la risonanza che hanno i suoi interventi, la incontra.
Per avere ottenuto i lavoratori delle miniere condizioni migliori, Mary Harris Jones è considerata la protettrice dei minatori.
Muore a Silver Spring nel 1930.

Anna Stepanovna Politkovskaja

Nata a New York nel 1958, è stata una giornalista russa, molto conosciuta per i suoi reportage sul conflitto fra la Cecenia e la Russia.La Cecenia è un piccolo Stato nato dalla Russia post sovietica, spesso associato al terrorismo contro cui la Russia aveva schierato un esercito capace di azioni di grande violenza.Molto onesta nel suo lavoro non risparmia critiche ad entrambe le parti e finisce per attirarsi l’odio di entrambe.
Scrive della sua professione di giornalista:
«L’unico dovere di un giornalista è scrivere quel che vede.»
«Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me.»
«Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo.»
Il 7 ottobre 2006 Anna Politkovskaja venne assassinata nell’ascensore del suo palazzo, mentre stava rincasando. Non sono mai stati individuati i responsabili del delitto. Già precedentemente era stata oggetto di un tentativo di avvelenamento e la sua vicina di casa era stata uccisa perché scambiata per la somiglianza con lei.

 Franca Viola

Franca Viola, nata ad Alcamo il 9 gennaio 1948 da una famiglia contadina, fu la prima donna italiana a rifiutare il cosiddetto “matrimonio riparatore”, divenendo simbolo della crescita civile dell’Italia nel secondo dopoguerra e dell’emancipazione delle donne italiane.
All’età di quindici anni, con il consenso dei genitori, si fidanza con Filippo Melodia. Per i suoi comportamenti mafiosi, il padre di Franca, Bernardo Viola, che nella vicenda si dimostrerà uomo “illuminato” per come sostenne la figlia, ruppe il fidanzamento; per queste ragioni, la famiglia Viola fu soggetta ad una serie di violente minacce ed intimidazioni.
Il 26 dicembre 1965, all’età di 17 anni, Franca Viola fu rapita da Melodia, aiutato da amici; Franca fu violentata e tenuta segregata per otto giorni. Fu proposta al padre la cosiddetta “paciata“, ovvero un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far accettare ai genitori di Franca le nozze dei due giovani. Fu il padre a denunciare Melodia e i suoi complici che vennero arrestati e Franca fu liberata.
Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo stupratore, salvando il suo onore e quello familiare. In caso contrario, sarebbe stata additata come “donna svergognata”. All’epoca, la legislazione italiana, in particolare l’articolo 544 del codice penale, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto “matrimonio riparatore”, tra l’accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona.
La norma invocata a propria discolpa dall’aggressore, l’articolo 544 del codice penale, sarà abrogata con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981 a sedici anni di distanza dal rapimento di Franca Viola, e solamente nel 1996 lo stupro da reato «contro la morale» sarà riconosciuto in Italia come un reato «contro la persona».
Franca Viola diventerà in Sicilia e in Italia un simbolo di libertà e dignità per tutte quelle donne che dopo di lei avrebbero subito le medesime violenze e ricevettero, dal suo esempio, il coraggio di “dire no” e rifiutare il matrimonio riparatore.
Si sposò nel 1968 con un giovane compaesano e amico d’infanzia.
L’8 marzo 2014, in occasione della festa della donna, Franca Viola è stata insignita al Quirinale dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la motivazione: “Per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne nel nostro Paese”.
Ecco alcune parole pronunciate da Franca Viola in occasione di interviste
«Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce»
«Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi donna: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori.»

Hyeonseo Lee

Hyeonseo Lee è nata a Hyesan, in Corea del Nord negli anni ottanta (forse nel 1980, l’anno di nascita non è sicuro in quanto possediamo pochissimi suoi dati personali).
La Corea del Nord era ed è sotto la dittatura dei KIM e, come tutti i bambini cresciuti in questo paese, anche Hyeonseo Lee pensava che questo fosse “il migliore del mondo”, che i KIM fossero degli esseri superiori e che al di fuori della loro terra ci fosse solo il male.
Le cose cambiano all’improvviso quando, nel 1994, la Corea del Nord viene sconvolta da una terribile carestia. Nel vedere molti suoi connazionali morti di fame per strada comincia ad interrogarsi sulla reale natura del proprio paese e a dubitare delle verità confezionate dalla propaganda. Ed è allora che si accorge che al di là del confine della sua terra, dove i blackout sono frequenti, in Cina, poco lontano dalla sua casa di Hyeonseo, le luci non si spengono mai. E che forse, dall’altra parte del fiume ghiacciato, un’altra vita è possibile.
Comincia così da sola una rocambolesca fuga da una dittatura spietata e corrotta, una fuga che la porta dapprima in Cina e in seguito a Seul, la capitale della Corea del Sud.
Durante la fuga acquista identità diverse (ecco perché viene chiamata “la ragazza dei sette nomi”).
Volendo che la sua famiglia rimasta nella Corea del Nord si ricongiunga a lei, riesce nel suo intento  dopo un avventuroso viaggio di oltre duemila chilometri attraverso il Sudest asiatico, incontrando mille difficoltà e imprevisti.
Conosce però anche un episodio di solidarietà: nel Laos, dove la sua famiglia era stata incarcerata, non ha denaro sufficienti per pagare una cauzione, lì incontra una persona, un australiano, che le offre i denari mancanti.
Infine con la famiglia riesce a raggiungere la Corea del Sud dopo più di 10 anni di fughe e clandestinità.

Nasrin Sotoudeh

Nasrin Sotoudeh, nata a Tehran il 30 maggio 1963, come avvocato e come donna ha sempre cercato di difendere i diritti delle donne fra cui la libertà di portare o meno il velo che in Iran è imposto dal regime.
E per questo è stata arrestata e incarcerata, poi liberata per l’emergenza Covid e poi di nuovo incarcerata senza conoscere le motivazioni di questi provvedimenti.
Lei è avvocato, ma in questa situazione non riesce a tutelare i propri diritti. Purtroppo in Iran vige, per chi viene arrestato, questa condizione estremamente frustrante dell’incertezza della pena: le persone incarcerate non vengono informate dei tempi della detenzione, poi improvvisamente scarcerate senza una motivazione per la quale possono essere di nuovo arrestate.
Per il sistema giudiziario dell’Iran esistono i delitti di carattere morale, come per le donne il rifiuto di portare il velo o mostrare la caviglia sui mezzi pubblici, una vera aberrazione per i principi del diritto.
Inoltre le condizioni delle carceri sono drammatiche.
Nasrin Sotoudeh si è laureata in età adulta e ha iniziato a esercitare la professione tardi per le difficoltà che incontrano le donne, anche se statisticamente le laureate donne sono un terzo di tutti i laureati.
Il primo cliente di Nasrin Sotoudeh è stata una donna di nome Zahra Bahrami di cittadinanza olandese e iraniana, incarcerata con le stesse accuse di Nasrin (generiche “attività sovversive”), grazie alla quale ottenne la scarcerazione. Ma subito dopo la sua casa fu oggetto di perquisizione e venne rinvenuta una quantità ingente di stupefacenti. Questa volta, con un’accusa legale, fu arrestata, processata e condannata a morte, una dimostrazione che il regime era comunque in grado di raggiungere il suo intento.

Conclusa la carrellata delle vicende delle 5 donne scelte (il libro contiene 20 storie di personaggi femminili e maschili) che hanno vissuto per i loro ideali, si sono ribellate ai soprusi e hanno sofferto le conseguenze delle loro azioni pagando anche con la vita, la Presidente si sofferma sul titolo del libro Come fiori che rompono l’asfalto – Venti storie di coraggio.
Queste donne sono fiori che hanno cercato con ogni sforzo la luce per difendere i diritti e le libertà di tutte noi.