E’ questa la tematica che si è voluto affrontare grazie al prezioso contributo della Dott.ssa Elisabetta Calcaterra, affermata giornalista d’arte che ha avuto ed ha il privilegio di osservare ed indagare la vita e le opere di molte artiste bergamasche. Assieme a lei abbiamo ripercorso l’evolversi della figura della femminile nella storia dell’arte soffermandoci sulle protagoniste principali della realtà bergamasca.
Il primo ruolo assunto in maniera autorevole dalle donne è stato quello di oggetto di ispirazione artistica: modelle, muse, compagne di artisti. Un ruolo, possiamo dire, quasi secondario rispetto all’azione della creazione e del coinvolgimento artistico considerato fino a poco più di un secolo fa ad appannaggio quasi esclusivo del mondo maschile tanto che nel 1971 un articolo del ARTnews si domanda “Perché non ci sono state grandi artiste?”(1)
A dire la verità alcune mosche bianche ci sono state: la scultrice Properzia De’ Rossi (1490-1530), Sofonisba Anguissola (1532-1625) voluta alla corte del re di Spagna Filippo II, la famosissima Artemisia Gentileschi (1593-1654). Ma più che di regola, si tratta di eccezioni, in una realtà in cui persino la presenza di una donna artigiana in una bottega poteva rovinarne la reputazione.
Le cause fondamentali che ostacolarono nel corso dei secoli l’ascesa delle donne nel panorama artistico si possono sostanzialmente identificare in due aspetti: uno prettamente culturale, la donna è vista come la regina del focolare, moglie e madre lontana dagli affari, e l’altro formativo, ha infatti più difficoltà a trovare i modi e i mezzi per sviluppare la conoscenza e la tecnica artistica.
I primi luoghi di formazione sono state proprie le botteghe dove, però, la loro presenza non era così altamente tollerata. Per attendere l’apertura delle accademie alle donne occorre aspettare il XIX secolo. L’accademia di Parigi accetterà le donne nella sua compagine studentesca nel 1817, mentre l’accademia bergamasca le accoglierà solo a partire dagli anni venti del Novecento. Nel frattempo le donne per supplire a questa carenza si basano principalmente su due fonti: lezioni private da artisti uomini e formazione autodidatta, visitando musei e riproducendo le opere viste. La loro rimane comunque una pittura di genere e fino ai primi decenni del XX secolo non riescono ad emergere dal campo dilettantistico.
Dai primi anni del Novecento fino a metà del secolo si osserva un’evoluzione dell’arte femminile che man mano si libera dalle costrizioni della pittura di genere per esprimersi in modo più spontaneo. Caso emblematico è quello delle due artiste bergamasche Giuseppina Locatelli Fagioli e Luisa Fagioli Premuda, rispettivamente madre e figlia. Il confronto delle loro opere permette di evidenziare le differenze tra gli stili di due generazioni successive. Se quella di Giuseppina è un’arte dall’atmosfera intimistica quasi decadente, quella di Luisa è libera dai virtuosismi.
Sull’onda di un rinnovamento e una consapevolezza artistica del tutto nuova, una delle artiste che più profondamente ha segnato l’arte femminile bergamasca fu Tilde Poli.
Tilde Poli (Bergamo 1924-2006) è allieva privata di Giulio Masseroni, si formerà poi a Milano con Guido Ballo operando anche a Roma. La sua è un’opera sempre in evoluzione, legata allo svolgersi del tempo, e orientata alla ricerca spaziale. Lo si evince ad esempio nel suo Autoritratto del ’48 (qui presentato): “tutto, dalla costruzione della figura al moto concentrico dello sfondo, è ricerca spaziale attraverso il segno marcato e i toni di colore” (2). La sua è una ricerca costante che pone le fondamenta sui valori plastici come base costruttiva per poi ripercorrere l’astrattismo comasco degli anni Trenta e, quindi, lo spazialismo di Fontana del secondo dopoguerra. Nelle sue opere agisce attraverso un processo di scomposizione e sintesi indagando le potenzialità spaziali della tela per mezzo il colore e le linee. Le sue sono “opere realizzate da una donna all’apparenza fragile e in sostanza forte e definitive lievi e delicate, metafisiche, simboliche, persino irreali” (2).
Ecco la testimone di questa metamorfosi storica del ruolo della donna nell’arte che da oggetto diventa soggetto, interprete attivo della realtà.
“Le donne dimostrano forza e tenacia straordinarie nel lavoro come nella vita, nei legami e negli impegni: devono davvero meritare per essere apprezzate e ottenere, pur con difficoltà un piccolo spazio. Ogni artista vive gli stessi travagli. La donna è più mistica: è alla ricerca della spiritualità, della serenità dell’anima. L’uomo è invece più indolente: preferisce crogiolarsi nell’angoscia esistenziale piuttosto che prestare attenzione ai segnali – che non gli sono preclusi – della continuità della vita”(3).
(1) Articolo “Why Have There Been No Great Women Artists?”, ARTnews, Gennaio 1971, Linda Nochlin
(2) Donne d’arte contemporanea a Bergamo, Elisabetta Calcaterra
(3) Da un’intervista a Tilde Poli, in Donne d’arte contemporanea a Bergamo, Elisabetta Calcaterra, 2007